Diamo voce ai nostri "pensieri rampanti", come fossero frutti acerbi ancora appesi all'albero, in attesa di cadere.

venerdì 25 giugno 2010

La solitudine del sonno

È notte e il buonsenso mi suggerisce di andare a dormire, tuttavia c'è un tarlo che mi è entrato in testa da qualche giorno, dopo aver visto il tanto discusso film-documentario di Sabina Guzzanti, Draquila. Il film è interessante, più maturo di Viva Zapatero, più concreto e più attento, a mio avviso, al punto di vista delle persone. Il film è di parte, ma tratta con rispetto e delicatezza anche chi è “dall'altra parte”. L'ho apprezzato molto, perché, usciti dalla sala, ci si sente pervasi da un misto di incredulità e rabbia, che non sfocia mai in atterrimento; al contrario inietta nelle vene una vaga euforia che offre un sussulto alla coscienza.


Negli anni le nostre coscienze sono state abituate a trangugiare di tutto, senza mai assimilare: dalle uccisioni, alle torture, alle malattie, alle catastrofi. Come dopo un pasto particolarmente pesante, si sono poi lentamente addormentate, per cercare di aiutare i processi metabolici a digerire tutta quella pesantezza. Col tempo ci siamo trovati, così, immersi ciascuno nel proprio torpore, che dolcemente ci cullava, ma che ci isolava sempre di più gli uni dagli altri. Ci siamo trovati alla fine in una specie di sonno collettivo in cui ognuno era isolato dal proprio vicino.
Anni fa, in un periodo politicamente e socialmente attivo, dichiaravo che la “lotta” cambia di quartiere e di metodi, ma non cessa. Oggi mi rendo conto che, per andare avanti, ogni lotta non solo richiede energie, ma anche speranza di riuscita, altrimenti si ferma. Monicelli in una vecchia intervista sosteneva che la speranza non sia altro che uno strumento in mano ai “padroni” per annichilire le coscienze: una sorta di nuovo oppio dei popoli. Eppure, al contrario, l'assenza di speranza ha generato, ora più che mai, menti spente e coscienze sopite, che per essere svegliate debbono essere scosse tragicamente, come ha cercato di fare Mariarca Terracciano che si è dissanguata fino alla morte, sperando di muovere le coscienze e le menti. Ma si può smuovere le coscienze senza ricorrere da un lato a futili speranze oppiacee e dall'altro a coraggiose scelte di cui non si ha tempo di veder l'esito?
C'è una frase alla fine di Draquila, in cui si dice che la trappola è il pensare che il sistema non possa reggere e che stia per crollare, quando, al contrario, sarà proprio il suo essere vuoto a sostenerlo. Se da un lato questa costatazione sembra non lasciare vie d'uscita, dall'altro ha un sapore quasi positivo, perché finalmente fa apparire concreto un nemico che sembrava fatto solo di luci ed ombre, e contro cui, forse, ora si può lottare davvero. La frase del film non invita affatto alla rassegnazione, al contrario è come se lanciasse una sfida a chi ascolta, come se fosse finalmente possibile cercare un'alternativa, ma solo dopo aver guardato la realtà per com'è.
Da tempo viviamo nell'illusione che per stare bene si debba solo immaginare un mondo diverso, ma l'esperienza dei tanti piccoli movimenti territoriali, attivi in Italia e nel Mondo, ci insegna che per dare vita a nuovi modi di esistenza (più solidali, ecosostenibili ed onesti) occorre restare ancorati alla realtà, fatta di persone e gesti, e solo allora puntare a qualcosa di più alto. Questa può essere la nuova lotta, questo può essere il modo di restare svegli e sognare insieme, piuttosto che dormire e sognare ciascuno del proprio. È una sorta di speranza lucida, che mantenga contemporaneamente vigili le coscienze e vive le persone.
Forse stasera avrei fatto meglio ad andare a dormire, però sono contento di essere stato sveglio ancora cinque minuti.

Buona riflessione: attenzione a non cadere dall'albero troppo presto!

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