Diamo voce ai nostri "pensieri rampanti", come fossero frutti acerbi ancora appesi all'albero, in attesa di cadere.

giovedì 20 gennaio 2011

Ma non bastavano le tette?



Bene bene bene..o male male male..o bene male bene..o male male bene..(ok posso già dire eccetera..) insomma, fate un po' Voi, a seconda di come è iniziato il Vostro nuovo anno. Per me, il mio, avrei qualche difficoltà a definirlo. In qualsiasi caso, spero che il Vostro sia iniziato meglio.
Ma a parte questo, passo ora a parlarVi di una cosa alla quale tengo particolarmente.
Come alcuni/e dei nostri/e numerosissimi/e Lettori e Lettrici avranno sicuramente notato, io, a dispetto del mio nome che è Il Visconte Dimezzato, uso un linguaggio che è invece spesso raddoppiato. Al di là della rima multipla, mi riferisco a quel quasi noioso politically correct di cui faccio uso nei casi in cui una parola possa essere espressa nella lingua italiana sia al maschile che al femminile. E' certo un'abitudine che appesantisce sia la lettura che la scrittura di un testo, ma è un'abitudine che, a mio modo di vedere le cose, non si esaurisce nella mera formalità, ma porta invece con sé un significato tutt'altro che banale.
Vado ad argomentare quanto sostenuto.

Due antropologi e linguisti americani, E. Sapir e B. Whorf, nella prima metà del Novecento, hanno enunciato il principio di relatività linguistica, detta anche ipotesi di Sapir-Whorf. Questo principio, molto in generale, ipotizza che la lingua e la “grammatica” abbiano in qualche modo la capacità e il potere di plasmare il pensiero.
Detto così potrebbe sembrare un po' esagerato, e in effetti la reazione della comunità scientifica non è stata molto diversa dall'impressione che questa affermazione può suscitare nei non addetti ai lavori: la versione forte di questo principio, ovvero il determinismo linguistico, è stata infatti ritenuta poco sostenibile a livello empirico; essa ridurrebbe i modelli di pensiero e cultura ai modelli grammaticali delle lingue. Per fare un esempio, usare due pronomi diversi per uomini e donne, potrebbe portare a concepire i due generi come radicalmente diversi; al contrario l'uso di un solo pronome potrebbe favorire una percezione di uguaglianza tra i sessi. Tuttavia nella realtà questo non è stato riscontrato in tutti i casi, e inoltre le persone bilingue, che conoscono due sistemi grammaticali differenti, e quindi dovrebbero avere due modelli di pensiero differenti conviventi, non sono schizofrenici.
Anche altre critiche sono state mosse a questa versione forte del principio di relatività linguistica, tanto che alcuni ricercatori e alcune ricercatrici hanno pensato ad una versione debole dello stesso principio: essa sostiene che il sistema grammaticale di una lingua, non determinerebbe un certo ordine sociale, ma ne faciliterebbe comunque l'accettazione. Rimanendo sullo stesso esempio di prima, la distinzione grammaticale di genere, non determinerebbe un ordine caratterizzato dalla supremazia maschile, ma faciliterebbe in qualche modo l'accettazione di differenze e disparità sostanziali tra i ruoli di uomo e donna. Tuttavia: perché allora, anche tra chi parla lingue in cui è presente grammaticalmente la distinzione di genere, si trovano sostenitori e sostenitrici del principio di uguaglianza fra i sessi?
Probabilmente ipotesi come questa potranno difficilmente ricevere una conferma empirica, in quanto sono talmente tante le componenti che possono sottostare ad un modello di pensiero, che isolarne solo una non ha tanto senso. Tuttavia riflettere sul fatto che un qualche elemento possa in qualche modo intervenire nell'influenzarlo è un'altra cosa.
Gli stessi Sapir e Whorf non erano sostenitori del determinismo linguistico. Essi credevano che l'importanza della lingua consistesse nel dirigere l'attenzione su certi aspetti dell'esperienza più che su altri, e che fosse molto difficile a volte separare del tutto la realtà oggettiva dai simboli linguistici con la quale la si indicano. Se la lingua distingue tra maschile e femminile insomma, è più facile che questa distinzione possa presentarsi a noi come oggettiva e naturale anche a livello sociale, oltre che a livello biologico, in cui la distinzione è abbastanza evidente. Ma dico io: non gl'abbastavano le tette?
Tale problematica con conseguente dibattito, è stata sollevata a suo tempo partendo da una critica della lingua inglese, in cui per alcuni termini esiste il neutro, mentre per altri no. Ma che dire della lingua italiana?
Nel nostro idioma, a mio modo di vedere le cose, la problematica si estremizza. Se infatti si può in qualche modo anche giustificare la distinzione grammaticale tra maschile e femminile vista la marcata differenza fenotipica (espressione esterna del corredo genetico) tra i due sessi, non mi sembra si possa fare lo stesso per quello che succede nella lingua italiana. Nel nostro caso infatti, alla mancanza di termini neutri, si supplisce usando il termine maschile, quindi non vi è solo una differenza, ma una disparità.
Anche non accettando il determinismo linguistico di cui sopra, e seguendo invece la posizione più moderata di Sapir e Whorf, questo sembra un chiaro esempio di ciò cui si accennava prima, ovvero la direzione dell'attenzione su un certo aspetto dell'esperienza sociale, in questo caso una maggiore importanza del maschile rispetto al femminile. Perché di questo e non di altro si tratta: il femminile è sottoposto al maschile. Secondo me, alla luce degli studi di cui si è parlato, questa semplice comodità grammaticale è di una potenza spaventosa.
Provate a risolvere questo indovinello: Un bambino e il padre fanno un incidente in macchina; il padre rimane ucciso, mentre il bambino viene portato d'urgenza in sala operatoria. Alla vista del paziente però il chirurgo esclama: “Non posso operarlo! E' mio figlio!”. Com'è possibile?
Dopo un po' ci si arriva, soprattutto alla luce del discorso che qui si sta affrontando. Ma non conosco una persona che ci sia arrivata immediatamente. E questo fa riflettere.
E' per questo quindi che nello scrivere cerco di usare sempre sia il maschile che il femminile quando è possibile. Non riesco a non pensare che in qualche modo l'uso del solo maschile per convenzione, non sia legato ad un subliminale maschilismo e patriarcalismo ancora in vita oggi nelle nostre società, nonostante i tanti progressi (spesso purtroppo solo di facciata) che si sono fatti in questo senso.
Se pensiamo ad un bambino o ad una bambina che cresce e impara la nostra lingua, possiamo forse più facilmente immaginare il contributo che può dare tale convenzione grammaticale alla percezione di una disparità tra i sessi, un contributo tanto nascosto e mascherato quanto incisivo: la disparità tra i sessi è infatti intrinseca alla lingua italiana, e la lingua italiana è il mezzo principale attraverso cui bambini e bambine imparano a comunicare con il resto delle persone che gli sono attorno.
Un discorso analogo si potrebbe fare per l'uso di alcune espressioni gergali in cui siano presenti vocaboli tipo “puttana” o “troia”, o anche “frocio”. Perché infatti usare per offendere dei termini che identificano persone che vengono già discriminate e sfruttate all'interno della nostra società? Non ci si pensa perché ormai sono parole entrate nel gergo comune, delle quali forse non si fa caso neanche al significato quando le si dice. Ma un bambino o una bambina sì che lo percepisce il significato, e lo impara. Impara che certi termini sono un'offesa, e quindi le persone che identificano non possono essere che poco di buono. O impara che una prostituta è comunque una "porca". Ci sono tante altre belle parolacce che sono state coniate nella nostra lingua; perché non usare quelle? E che dire di espressioni del tipo “cazzuto” o “donna con le palle”? Io sinceramente le preferisco senza!
Insomma, in conclusione credo che il linguaggio abbia molta importanza nella costruzione di alcune percezioni sociali, un'importanza che spesso viene sottovalutata. Forse da solo può non essere così decisivo, ma se messo insieme a tutta un'altra serie di input che riceviamo dal contesto, può dare un contributo decisivo nel modellare il pensiero di un individuo, soprattutto se in formazione.
Quindi cari Lettori e care Lettrici, se vorrete continuare a seguire le gesta di questo prode cavaliere dimezzato, dovrete sopportare qualche scomodità per farlo. Ma credo che qualche scomodità possa essere tollerata se ne viene compresa la, secondo me, vitale necessità.
Buon anno a tutte e tutti.

5 commenti:

  1. Articolo davvero chiaro e interessante...ma soprattutto utile!
    Anche negli ambienti maggiormente sensibilizzati alle tematiche femministe (e anche tra molte femministe) si fa davvero fatica a parlare del linguaggio: viene percepito sempre come una questione secondaria, portata avanti da noiose vetero-femministe, come una questione di principio, senza alcun risvolto pratico.
    La chiarezza con la quale invece questo articolo espone le conseguenze che il linguaggio può avere nella formazione della coscienza, lo rende uno strumento utilissimo per la discussione.
    Grazie, davvero!

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  2. Ank'io voglio ringraziarti per quello ke hai voluto condividere con noi..Si, lo so, ti sembrerà strano..soprattutto perkè in realtà non ho fatto altro ke prenderti in giro per questa cosa..Ma ank'io dopo poco tempo ho finito per entrare in questo tunnel di politically correct!
    Articolo davvero interessante e stimolante, di cui ho apprezzato non soltanto l'esposizione e la kiarezza con cui hai descritto le radici di questa scelta politica (nel senso letterale del termine) ma anke la modalità ke hai adottato per farci riflettere: simpatica, ironica e pungente!
    Davvero bravo..Un bacio a tutti e a tutte! ;-)

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  3. Il ragionamento di fondo è abbastanza chiaro e condivisibile....Riassumibile in questo famoso sketch: http://www.youtube.com/watch?v=LLhO5oiFFAs

    Come sappiamo alla formazione di un bambino non concorre solo il linguaggio, anzi. Il contesto in cui vive e si relaziona svolge un ruolo ancora più importante. Se questo bambino legge e comunica con espressioni "politically correct" ma gli viene insegnato o percepisce da impulsi esterni che la donna è inferiore, quale sarà la sua formazione?
    Il linguaggio è il mezzo attraverso cui comunichiamo. Bisogna vedere cosa comunichiamo, il significato è infatti determinato dall'uso di concetti legati alla nostra generale esperienza o conoscenza del mondo, a stereotipi e strutture culturalmente predefinite che abbiamo appreso nel tempo.
    Per paradosso io posso spiegare che la donna è inferiore usando termini raddoppiati sia al maschile che al femminile. Mentre posso elogiarla usando solo termini maschili. Il mio interlocutore cosa percepirà???

    In conclusione quella di usare sempre termini doppi la considero una demerita cazzata, un obbrobrio estetico e musicale. Oltre che un inutile pesantezza di linguaggio.
    Al massimo posso accettare di aprire e chiudere un discorso con un saluto con termini doppi. Così facendo in modo elegante attribuisco pari dignità ad entrambi i sessi senza doverlo ribadire ogni volta.


    P.S.
    Per quanto riguarda l'indovinello sempre sostenuto che le donne sono delle cacasotto!!!

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  4. Dice Nanni: "Le parole sono importanti!", ma nel tuo ragionamento non percepisco che tu abbia interiorizzato questo concetto. Non puoi pensare che le parole siano importanti solo quando non è scomodo starci attenti/e. Condivido quello che dici sull'apprendimento, ma credo che nell'uso grammaticale del genere, la lingua italiana esprima proprio uno di quegli stereotipi o strutture culturalmente predefinita di cui parli. Si tratta di percezioni subliminali che contribuiscono alla formazione del pensiero tanto quanto il contesto in cui si vive e ci si relazione; anzi, il linguaggio e la sua struttura fanno pienamente parte di quaesto contesto.
    In ultimo, visto che le parole sono importanti, mi spieghi cosa vuol dire "demerita cazzata"? ;)

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  5. Non so forse l'ora tarda, forse i troppi impegni ti hanno fatto perdere di vista il senso del mio intervento.

    Il caro e vecchio Nanni dice:"Le parole sono importanti" ed infatti io non rinnego questo, stando sempre attento però anche all'estetica, al suono delle parole ed alla facilità di comprensione di un discorso. Cose che inevitabilmente vengono a mancare usando in modo Indiscriminato, ed in barba alle regole della lingua italiana, l'uso del genere. Concetti che tu riassumi in modo molto sbrigativo con "solo quando non è scomodo".

    E cmq Moretti non dice "le parole sono la cosa più importante" ma fermo restando l'importanza delle parole l'apprendimento e il contesto sono maggiormente importanti delle parole. Concetto a cui io mi riferivo ( altro che interiorizzare?!??), illustrato magnificamente con i paradossi di cui sopra.

    Visto che le parole sono importanti bastava togliere l'involontaria D iniziale a "demerita cazzata", e per magia si trasformava in Emerita cazzata.

    Emerito [e-mè-ri-to] agg.

    2 Egregio, illustre, anche con valore iron. e scherz.: un e. scienziato; un e. briccone.


    Comunque io oltre alle parole e al genere starei attento anche ai verbi: "il contesto in cui si vive e ci si relazione"?!??

    E poi visto che le parole sono importanti beccate questo, così io, come Michele Apicella in un famoso confronto, ti batto in maniera schiacciante:
    http://www.youtube.com/watch?v=giG5t18PUoE

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