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giovedì 12 maggio 2011

Radioattività in Friuli parte 2: le testate nucleari

Scusate il lungo silenzio, ma parlare di radiazioni e di nucleare in questo momento rischia di essere fuorviante, perché saltano subito alla mente gli eventi accaduti in Giappone, il loro risalto mediatico ed il conseguente dibattito che, seppure in maniera strumentale, ne è scaturito in Italia (vedi anche il post “Ci vogliono nuclearizzare”). Tuttavia non sono questi aspetti (pur importanti) che mi interessa sottolineare adesso; almeno non direttamente. Qualcuno ricorderà che ho chiuso la prima parte di questo post nominando la città friulana di Aviano (PN) a proposito del picco di radiazioni registrate in Friuli nel 1989. Pertanto nella seconda parte proverò ad illustrare la relazione tra questo picco e le attività che da decenni già si svolgevano proprio in quella città. Come potete immaginare, sarò piuttosto cauto nelle mie conclusioni!


Il nome di Aviano non ci lascia indifferenti, perché proprio lì è ospitata una delle maggiori basi NATO presenti in Europa. Circa le operazioni che avvengono all'interno della base e i materiali stoccati nei suoi magazzini sono stati più volta sollevati dubbi, soprattutto per quanto riguarda la possibile presenza di armi nucleari.
Da un punto di vista normativo, gli Stati Uniti, sottolinea Natalino Ronzitti nel dossier "Le basi americane in Italia-problemi aperti", hanno diritto a possedere armi atomiche in quanto stato nucleare ufficialmente riconosciuto dal Trattato di non proliferazione (Tnp). Essi, però, hanno -o avrebbero!- l’obbligo di non trasferire gli ordigni agli stati non-nucleari. Vietato è anche il trasferimento del controllo degli ordigni (art. 1 del Tnp). A sua volta l’Italia, in quanto stato non-nucleare del Tnp, è obbligata non solo a non fabbricare armi nucleari, ma anche a non ricevere il loro trasferimento o controllo (art. 2). Con la sottoscrizione del Tnp l'Italia, dunque, ha rinunciato all'utilizzo bellico dell'energia nucleare ed è tenuta formalmente a non detenere (o a distruggere) le armi nucleari sul proprio territorio; così come vale per le armi chimiche (proibite dal 1993) e per le mine antiuomo (1997). A titolo di completezza, ma non di polemica, ricordo che in seguito al referendum del 1987 l'Italia ha imposto forti restrizioni persino all'utilizzo pacifico dell'energia nucleare.
Tutto questo, come sottolinea ancora Ronzitti, “in linea di principio”. Infatti, nonostante quanto imposto dagli obblighi internazionali e dai regolamenti nazionali, è da tempo che si sospetta la presenza di vere e proprie testate nucleari sul territorio nazionale italiano. I dati ufficiali sono stati resi disponibili solo nel 2005, quando l'analista statunitense Hans Kristensen del Natural Resources Defence Council di Washington ha stilato il rapporto "Us nuclear weapons in Europe". L'appendice A del testo mette in luce che sul territorio italiano sono attualmente presenti 90 ordigni, tra Aviano (con 50 testate) e Ghedi Torre (BS, con 40).
Il dato appare sconcertante per diversi motivi. Il primo e più evidente è che in aperta contraddizione ai regolamenti sottoscritti, l'Italia ospita sul suo territorio armi nucleari. Questo fatto, ufficializzato solo sei anni fa, era già visibile scientificamente nelle radiazioni misurate a terra nel Friuli occidentale nel 1989. Chi ha autorizzato questo? Con quali motivazioni? Soprattutto, da quanto tempo sono custoditi questi ordigni sul nostro territorio?
Adesso ad Aviano si susseguono le voci di un massiccio trasferimento in Polonia, che prontamente viene imputato alle troppe proteste dei “no-global”. Al di là delle posizioni personali sulle basi, esse sono da un lato il frutto di un accordo militare e politico, dall'altro una forte fonte di sostentamento per chi vive nei paraggi. Non si può non tener conto della complessità di questi fattori, anche per il pacifista più convinto. Quello che mi domando è se sia così assurdo pretendere che le basi NATO rispettino il territorio dove vivono, compresi i trattati dello stato in cui alloggiano. Quello che mi domando è perché in nome del migliore offerente l'Italia debba sempre svendere la propria tutela ambientale, i propri beni culturali e perfino la propria democrazia, formalmente mantenuta nella firma di trattati che di fatto non hanno alcun valore applicativo.
Come dire? Gabbati e contenti... ma le testate nucleari non sono giocattoli da mettere e togliere a piacimento, sono oggetti che lasciano il segno per molto tempo.

Continua...

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