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sabato 24 settembre 2011

Dibattito su un grande evoluzionista

Al Centro di Cultura Ecologica (CCE) di Roma si è svolto oggi un interessantissimo convegno su uno delle più grandi menti scientifiche del XX secolo: Stephen J. Gould, che quest'anno avrebbe compiuto settant'anni. Paleontologo, biologo, divulgatore, storico della scienza... Gould era uno scienziato a tutto tondo, che è stato in grado di influire positivamente e profondamente sul pensiero scientifico moderno. La sua grandezza è stata quella di rivoluzionare il modo di pensare i meccanismi dell'Evoluzione, non distruggendo quanto prima di lui era stato detto, bensì recuperandolo ed integrandolo con intuizioni nuove ed acute. Il convegno si è svolto come una sorta di dotta chiacchierata fra cinque grandi esperti di evoluzionismo e conoscitori di S. J. Gould (alcuni hanno avuto anche il privilegio di conoscerlo personalmente), moderata da Giorgio Narducci, uno dei fondatori del circolo Gould.
Sull'incontro sono state illuminanti le parole di presentazione usate dal responsabile del CCE, Stefano Petrella, il quale ha sottolineato quanto sia importante in questo periodo storico rimettere al centro la cultura e il dibattito sui grandi temi della conoscenza. Le sue parole hanno avuto una risonanza ancora più forte perché ad ascoltarle non c'erano solo uditori più o meno esperti di evoluzionismo, ma anche alcune ragazze e alcuni ragazzi di scuola superiore, coinvolti da qualche lungimirante insegnante di scienze, che hanno seguito con interesse buona parte del dibattito. La loro presenza a questo convegno è stata davvero importante, ed a loro vanno tutti i complimenti per aver seguito con attenzione e pazienza -quasi- tutto il dibattito.



S.J. Gould in versione Simpson
Parlare di S. J. Gould -moderno «uomo dal multiforme ingegno»- significa necessariamente entrare nel vivo di temi evolutivi molto specifici e complicati, come il concetto di exaptation, la teoria degli equilibri punteggiati o il modello evolutivo dei pennacchi di san Marco. Significa inoltre farsi partecipi di un dibattito sull'Evoluzione che da oltre duecento anni procede con una dialettica assai vivace. Ma significa soprattutto affrontare in maniera articolata e rigorosa i suoi numerosi scritti, considerandoli non solo dal punto di vista scientifico, ma anche filosofico e storico.
Insomma per cogliere fino in fondo le riflessioni su questo personaggio così complesso occorre padroneggiare quantomeno un vocabolario ampio, ma anche avere una forte capacità di astrazione. Queste erano le difficoltà con cui si sono cimentati questi ragazzi. Almeno ci hanno provato!


Non so quanto sia rimasto loro in testa di tutte le discussioni che hanno ascoltato. Se fossero stati miei studenti, però, avrei sperato che uscissero da quella sala avendo colto due aspetti secondo me fondamentali della lezione di S. J. Gould: il primo sostanziale, il secondo metodologico.
Il primo aspetto è il fondamentale passaggio logico che Gould comprende, passando da un'idea di Evoluzione guidata dalla casualità ad una guidata dalla contingenza. Il passaggio è sottile, ma centrale. Come mi disse una gran professoressa, docente di paleobotanica alla Sapienza Università di Roma, «caso è semplicemente il nome che gli scienziati danno a ciò che non comprendono ancora». Dire che i cambiamenti evolutivi avvengano per caso significa ignorare la dimensione storica del processo evolutivo. I cambiamenti evolutivi (che sono come le "invenzioni" della vita durante il corso della sua storia) avvengono solo quando ce n'è la possibilità, attraverso meccanismi complessi, legati non solo ai geni, ma anche alle modalità di sviluppo dell'embrione, all'ambiente di vita, alle pressioni selettive di vario tipo e a tante altre variabili che cominciamo a comprendere solo ora. Tra i tanti fattori c'è anche il caso, ma è semplicistico e banale dire che sia esso a tracciare i destini degli organismi viventi.
Il secondo spunto che mi interessa sottolineare è l'approccio generale di Gould alla scienza. La sua grande forza è stata quella di prendere le idee del passato non come dogmi da accettare in toto, né come paradigmi da smontare, ma come contributi umani all'umana comprensione della realtà. In altre parole, ha rinunciato ad una visione fideistica della scienza, riuscendo a far fruttare quanto di profondamente vero hanno detto i grandi del passato, rimescolandolo con quanto aveva di grande lui da dire. In un'epoca in cui sembra che la scienza sia un'opinione arbitraria, o -peggio- una fede (quante volte in classe mi sono sentito chiedere: "A professo', ma lei ci crede che..."?), Gould è riuscito a proporre un modello di scienziato consapevole dei propri limiti ed onesto nel riconoscerli; è riuscito a trattare la scienza come uno degli aspetti della cultura umana, non come nuovo Vangelo della Verità.

Il convegno si è aperto con un'interessantissima citazione che ripropongo in questa sede come riflessione conclusiva:
«L'imparzialità è irraggiungibile da parte degli esseri umani [...]. Per uno studioso, è pericoloso anche solo immaginare di poter raggiungere un'assoluta neutralità. L'oggettività, in sede operativa, dev'essere definita come trattamento onesto dei dati, non come assenza di preferenze. [...] Dobbiamo riconoscere le preferenze personali al fine di contenere le loro influenze sul nostro lavoro.» (S.J. Gould: "Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del razzismo").
Io spero che queste piccole idee, molto importanti, si siano radicate nella testa di qualcuno di quei ragazzi e, se non è giusto sperare che diventino tutti degli scienziati, è bene auspicare che grazie a queste riflessioni diventino cittadini un po' più liberi e consapevoli.

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