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sabato 24 novembre 2012

Il non inferno in mezzo all'inferno

«L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.»

...e farlo durare, e dargli spazio ... e farlo durare, e dargli spazio...
Tutte le volte, l'ultima frase di un libro riecheggia nel silenzio della mia testa ancora qualche secondo. Le parole sono quelle che Marco Polo dice al Gran Kan, attraverso la penna di Italo Calvino, nelle Città invisibili. Non è solo un'eco che mi rimbomba in testa, ma è un monito, quasi una preghiera che Calvino lascia al suo lettore. In che modo affronti l'inferno? Riesci a distinguere l'inferno da ciò che non è inferno?
...e farlo durare, e dargli spazio...


Venerdì ho terminato la mia supplenza e ho salutato le mie classi. Tre classi numerose, problematiche; ragazzi di periferia di prima, seconda e terza media. Come al solito, si tratta di ragazzi che avrebbero bisogno di molte energie, ai quali si riesce a donarne poche. I volti mi restano ancora in testa come le ultime parole di un libro, prima di venire archiviati nel settore “ricordi” della mente. Eppure un volto non è una fotografia: il ricordo diventa memoria se accanto ad ogni volto ci sono domande, storie, questioni che ti mettono in crisi. Difficile fare l'insegnante in questa maniera: è un modo rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui.

La classe più faticosa è stata la seconda ed è stata quella da cui ho imparato di più. «Professore, resti al suo posto. Professore, chi si crede di essere? Professore, lei questo non lo può fare...» Un faticoso percorso ad ostacoli, durato due mesi. L'inferno: nello sguardo delle ragazzine polemiche, nelle volgarità pesanti dei bambinetti, nelle cattiverie tra compagni e nella resistenza alla scuola.
Un po' come nella Bella addormentata, sono entrato nella loro foresta di rovi e sono arrivato a vedere la principessa addormentata, ovvero ciò che non è inferno in mezzo all'inferno, e ho fatto leva su quello per impostare il lavoro. Con rammarico e delusioni, dapprincipio, ma poi con soddisfazione. Al punto che ieri sono riuscito a spiegar loro la meccanica quantistica e il principio di indeterminazione di Heisenberg!
...e farlo durare, e dargli spazio...

La classe prima la augurerei a qualsiasi insegnante, per l'entusiasmo e l'affetto che dimostrava. Un solo difetto: 26 ragazzi in 30 m2. Tra di loro, ragazzi con problematiche familiari, sociali, di apprendimento... ma ragazzi espressivi e curiosi.
Ieri la ragazza con sostegno era in lacrime, perché per raggiunti limiti di sopportazione aveva trasceso e aveva dato due schiaffi ad una compagna che la prendeva in giro. Si erano chiarite, scusate, avevano fatto pace... ma poi una frase: “lo sai che ti sospenderanno?”. Un'altra ragazza, con una malizia sofferente nello sguardo, con quella frase intendeva forse trascinare nel proprio dolore quotidiano anche qualcun altro; forse nella speranza di salvarsi, forse per rabbia, forse semplicemente per non sentirsi sola. Una bambina abituata a vivere un personalissimo inferno non sa riconoscere ciò che non è inferno. È compito dell'insegnante, che deve aiutarli a discernere, a riconoscere ciò che nella vita non è inferno: l'unico loro possibile nutrimento.
...e farlo durare, e dargli spazio...

In classe terza ho avuto la soddisfazione e la delusione più grandi. Una classe faticosa, piena di elementi difficili. Un ragazzo che al compito di recupero aveva preso 1, nel mio primo compito in classe ha preso 7 e mezzo. Un ragazzo abituato a percepirsi come inutile e pigro, insieme a me ha trovato delle motivazioni per lavorare e per esprimersi, facendolo nei modi migliori.
C'è un altro ragazzo che avevo preso sotto l'ala protettrice (ogni insegnante ha i suoi “preferiti”!) si è fatto sopraffare dal proprio inferno personale, enorme, nero doloroso. Un inferno fatto di abbandono e rifiuto da parte dei genitori. Un inferno fatto di immigrazione dalla Romania e un'emarginazione in Italia. “Voglio fare l'idraulico”, mi rispondeva con fierezza quando gli domandavo del suo futuro. La fiducia che aveva trovato in me lo sollevava un poco dalle sofferenze quotidiane. Stava prendendo voti decenti, stava venendo a scuola con un briciolo di serenità in più. Fino a che ho trovato una sua manomissione su un compito che avevo già corretto. Gli ho dato la possibilità di confessare, di tornare sui propri passi, ma non l'ha fatto. Gli ho annullato il compito, ma non l'ho sospeso, non gli ho messo note; tuttavia gli ho fatto capire di aver perso la cosa di cui forse aveva più bisogno: la mia fiducia. L'ha capito e ha reagito come un leone in gabbia: scalpitava di rabbia. Non mi ha salutato, era triste, amareggiato, deluso. L'ho visto asciugarsi gli occhi, gonfi di delusione.
Il suo volto me lo trascinerò sempre con me. Gli ho detto che mi dispiaceva com'era andata l'ultima settimana. Vorrei ancora stargli vicino ed aiutarlo a ritrovare quella luce che aveva solo intuito in questi mesi.
...e farlo durare, e dargli spazio...
...e farlo durare, e dargli spazio...
...e farlo durare, e dargli spazio...
...e farlo durare, e dargli spazio...

1 commento:

  1. quanta partecipazione nelle tue parole... penso che si possa dare spazio al non-inferno quando si riesce in se stessi ad essere non-inferno, quando si impara a gestire la propria rabbia-dolore-impotenza senza farsene trascinare e soprattutto senza scaraventarla sugli altri... allora si diventa specchio del non-inferno degli altri, si diventa catalizzatori di positività, che non vuol dire non soffrire e non far soffrire, vuol dire solo non consentire alla sofferenza di colonizzare tutta la vita, non consentirle di allargare la sua ombra fino a coprire tutto, vuol dire lasciar fuori ambiti di umanità, di creatività, anche di allegria che possono farci vivere un poco meglio.
    monna lisa

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