Diamo voce ai nostri "pensieri rampanti", come fossero frutti acerbi ancora appesi all'albero, in attesa di cadere.

giovedì 8 agosto 2013

Il mio primo giorno da supplente in carcere

Quest'anno ho svolto una supplenza nel carcere di Rebibbia, con la scuola media per adulti. Era inverno, quando entrai per la prima volta. Ricordo ancora quel primo giorno...

La nebbia mattutina mi avvolge tutto intorno. Dal grigio uniforme del sottofondo lentamente si delinea un lungo muro rettilineo di un grigio diverso, triste e sbiadito di cemento vecchio. È interminabile e ogni tanto è interrotto da un cancello, che segna l'ingresso dei penitenziari.
L'aria sgocciola di umido e il mio passo si fa pesante; la mia mente cerca di non pensare, di non farsi aspettative. Cerca di dimenticare (o ha già dimenticato e cerca di ricordarle?) le premurose indicazioni che la coordinatrice scolastica mi ha elencato ieri, con puntiglio meticoloso.
Arrivo sentendo solo il rumore dei miei passi, che stridono delicatamente sull'asfalto consunto. Fermo davanti all'ingresso cerco qualcosa su cui concentrare le mie azioni ed i miei pensieri, durante l'attesa. Passeggio un po', poi tiro fuori un libro e inizio a leggere Pasolini, appoggiato ad un paletto arrugginito.

Ah, il vecchio autobus delle sette, fermo
al capolinea di Rebibbia, tra due
baracche, un piccolo grattacielo, solo
nel sapore del gelo o dell'afa...

È il Pasolini insegnante, che scrive del suo soggiorno nel quartiere di Rebibbia, pensando ai ragazzi di borgata che giocavano nei prati.

Era loro la mattina che bruciava,
sul verde dei campi dei legumi intorno
all'Aniene, l'oro del giorno,
risvegliando l'odore dei rifiuti,
scorgendo una luce pura come uno sguardo
divino, sulle file delle mozze casette,
assopite insieme nel cielo già caldo...

Arrivano i colleghi: dopo poche presentazioni molto cordiali, citofoniamo e la porta si apre. «In carcere», diceva ieri la docente referente, «la virtù più importante è la pazienza: tu suoni e aspetti che qualcuno che non vedi ti apra». Così entriamo, lentamente, superando una porta dopo l'altra. L'ambiente non somiglia affatto alla mia idea di carcere: piuttosto si tratta di un insieme di uffici pubblici, situati in diverse palazzine, basse e circondate dal verde. Se uno non lo sa non si accorge di essere rinchiuso. Quello che fa la differenza sono da un lato le porte, blindate e pesanti, lente ad aprirsi e inesorabili a richiudersi, dall'altro i volti duri, che mostrano di sapere molto più di quello che non dicono.
Le guardie sono cordiali e si rivolgono con rispetto a noi insegnanti. L'ultima porta è la più pesante, opprimente; divide gli uffici dalla zona reclusione. I corridoi all'interno sono bianchi e luminosi, con un odore dolciastro di detersivo. Guardo il corridoio e gli spazi esterni, pensando alle lezioni che potrei svolgervi. Non ho ancora chiaro che cosa mi sarà permesso fare.

Nessun commento:

Posta un commento

Creative Commons LicenseI testi e le immagini, salvo dove diversamente indicato, sono opera de "i Baroni Rampanti" e sono concessi sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 2.5- Italia.